INTERVISTE – ESTRATTI
Marco Meneguzzo, Conversazione con Vittorio Matino, in Matino, dépliant della mostra, Lorenzelli Arte, Milano 1984
[…] Mi pare che siamo inzuppati nel falso colore come i biscotti: esiste un colore dilagante che ti aggredisce – il colore della pubblicità, della TV, della moda –, il colore dato per scontato e conosciuto, di cui ho sempre diffidato. Vedo un grande analfabetismo del colore, una specie di cecità di ritorno. Per questo ho voglia, sento l’esigenza di riappropriarmi del colore: è questa volontà di “vedere” il colore che fa diventare il colore “colore” e non soltanto pigmento indifferente o, peggio, aggressivo che riveste cose da vendere. Tutto tende ad essere volgarizzato e banalizzato: la nostra civiltà tende a sostituire l’oggetto con la riproduzione di questo, facendo perdere ogni connotazione qualitativa…[…]
[…] In pittura la cosa più difficile da raggiungere è la spontaneità. La spontaneità si può raggiungere solo attraverso un lungo esercizio artigianale e preciso che ti fa conoscere e costruire gli strumenti affinati per dare l’idea, per fare sentire la spontaneità, la freschezza. Ciò si ottiene soltanto con un controllo rigorosissimo del mezzo con cui operi.
Claudio Cerritelli, La pittura come scelta etica. Intervista con Vittorio Matino, in “Carte d’Arte Internazionale”, Messina, inverno-primavera 2001, ripubblicato in Paintings, catalogo della mostra, Howard Scott Gallery, New York 2002
[…] la pittura, per me può trasformarsi in colore e quindi in pittura tutto quello che mi succede: l’incontro con una persona oppure il giallo di una foglia in autunno, perché no. Anche i pensieri, i suoni si tramutano in colori che vanno poi organizzati in modo appropriato sulla tela, per campiture, accostamenti, proporzioni: non rimane nulla di letterario o di ideologico. […]
[…] Nell’arte quello che mi interessa non è catturabile con il pensiero scientifico o con un atteggiamento metodologico, o addirittura didattico. Io non faccio arte didattica, la razionalità mi aiuta, ma è la sensibilità che interviene per scegliere intuitivamente, senza apparenti ragioni, che cosa fare. La pittura tenta di dare una visione del mondo, è un modello poetico, si rivolge a coloro che hanno un interesse specifico, a coloro che meritano di accedere a questo linguaggio. La pittura è una sorta di danza tribale propiziatoria nel campo pittorico, cosa significa non lo so e non m’interessa, il mio scopo è fare piovere.
[…] il corpo attraverso la mano, esprime cose che non passano direttamente per il cervello, così la pittura può sorprenderti. Non ho più fatto un semplice atto di volontà nel volere fare un quadro ma ho lasciato che la pittura decidesse come farsi: io la seguo docilmente. La pittura non è semplicemente la sua esecuzione, è piuttosto la messa in atto di uno stato di attesa degli eventi che la pittura sollecita nel suo farsi, rivelandoci percorso e senso. È la libertà a tutto campo, è la voragine, è non avere punti di riferimento, lasciarsi andare nel vuoto. Più l’attraversata in mare aperto sarà lunga e difficile, più si apprezzerà la forma e il colore dell’approdo.
Variazioni sul tema. Una conversazione tra Vittorio Matino e Walter Guadagnini, in Vittorio Matino. Vario/pinti. Opere 2002-2003, catalogo della mostra, Galleria dello Scudo, Verona 2003
[…] il rapporto con il reale appartiene all’individualità dell’artista come anche al contesto storico, sociale, culturale nel quale egli opera; non esiste, nonostante tutto, un’arte slegata dal contesto, così come non esiste un quadro di un pittore che non vada letto dentro il contesto di tutta la sua produzione. […]
[…] Ciò che mi interessa sono proprio le variazioni sul tema, che rivelano il modo di fare, di essere, dell’artista. Non quindi il tema in sé, ma le variazioni potenzialmente infinite che dimostrano l’inesauribilità della pittura. È come nella musica, pensa al jazz, a quanti artisti hanno suonato Round About Midnight ed è sempre un pezzo diverso, anche se il tema è lo stesso.
[…] Molto spesso, chi guarda un quadro pensa che il colore sia una cosa in sé, immutabile e definita una volta per tutte, un rosso è un rosso e basta. Invece, quello che la pittura contemporanea ha la capacità e, direi, quasi il dovere di far vedere e comprendere chiaramente, è che questo non è vero, che lo stesso colore accostato a un altro diventa un’altra cosa, muta proprio la sua natura, che lo stesso colore steso su una superficie di tre metri è diverso dallo stesso colore steso su tre centimetri, non solo cambia la quantità ma la qualità, per non parlare delle velature, dei supporti… Queste sono le regole della pittura, non altre, e sono regole che vanno riconosciute e rispettate, ma lo scopo finale rimane quello di lasciare che il colore si esprima, rivelando tutto il suo potenziale evocativo e emozionale.
[…] questa libertà fa ancora paura, il fatto che il colore non spieghi, non si spieghi, che non ci sia in realtà bisogno di una spiegazione per un quadro, che ciò che conta sia l’individuale esperienza dei sensi, continua a intimorire il pubblico e anche parte della critica. Credo che parte del successo ottenuto dalla cosiddetta Arte Concettuale derivi proprio dal suo prestarsi alla spiegazione: dietro un’opera pretesto a prima vista sconcertante c’è un concetto che viene ampiamente spiegato e a questo punto si crede di “aver capito” una cosa difficile, il che tranquillizza e addirittura lusinga. Nella nostra cultura occidentale c’è ancora molto idealismo, c’è bisogno di “vedere” attraverso concetti, mentre l’esperienza della pittura è prima di tutto un’esperienza dei sensi.
SCRITTI DELL’ARTISTA – ESTRATTI
Un artista dipinge per avere qualcosa da guardare, catalogo della mostra, Galleria Vinciana, Milano, 1973, ripubblicato in Claudio Cerritelli, Il corpo della pittura. Critici e nuovi pittori in Italia 1972-1976, Martano, Torino 1985
[…] Mi interessano le immagini senza confine: non m’interessa l’impaginazione, il quadro tutto previsto, costruito a priori. Se parto con un ritmo o uno schema qualunque, cerco di contraddirlo di continuo, così come cerco di contraddire accostamenti o assonanze di colori: preferisco che un colore cada in un altro, che i raccordi-rimandi siano inventati volta per volta a seconda della “situazione” che si crea. Le cose che ho visto e che penso mi influenzano nel decidere sulla scelta di un colore, sulla posizione in cui metterlo, ma non mi offrono mai temi o motivi ispiratori. […]
Lettera a Matteo Lorenzelli, in Vittorio Matino, catalogo della mostra, Lorenzelli Arte, Milano 1991
[…] La questione del polittico in pittura, cioè del quadro composto da più elementi, m’interessa da molto tempo perché permette, con il solo accostamento delle parti, di amplificare un linguaggio fatto di forme semplici. […]
[…] Il polittico può fare coesistere all’interno della stessa opera scale cromatiche contrastanti e coniugare varie tecniche pittoriche senza compromettere l’unitarietà dell’immagine. Ciascuna delle parti conserva la sua autonomia pur essendo indispensabile alla comprensione generale, anche se poi questa identità diventa singolarmente diversa per semplice vicinanza delle altre parti. […]
[…] Mentre nella pittura antica il polittico presenta contemporaneamente “storie” differenti ma interdipendenti per illustrare un soggetto, nella pittura astratta evidenzia maggiormente l’importanza del meccanismo linguistico che riunisce le differenze nella stessa simultaneità visiva.
Più il tempo passa e più mi rendo conto delle immense risorse del linguaggio pittorico dove basta un semplice accostamento fra due tele per fare subito scattare una serie di richiami o aprire nuove combinazioni visive. Ulteriore conferma che la pittura non può che essere il risultato di un certo spessore culturale. La vera grande qualità della civiltà moderna è averci fatto capire che esistono più culture, e che più una cultura è forte, maggiori saranno le sue capacità di relazione. Il polittico fa parte, per me, di questo tentativo di arricchire il linguaggio pittorico aumentando la capacità di relazione. La pittura attinge spesso alla sua stessa storia. […]
[…] Non ho mai amato nella pittura la casualità, l’imprecisione, l’imperizia tecnica, tanto meno la mancanza di cultura pittorica. Credo inoltre che la cosiddetta “spontaneità” non sia assolutamente garanzia di verità e che liberare le pulsioni dell’inconscio non produca automaticamente arte. Non conosco nessun linguaggio artistico degno d’interesse che non abbia regole precise e che non obbedisca a strutture estetiche complesse e articolate. Cercare la verità o l’estetica ancora nel barbarico, nel primitivo, nello spontaneo, porta inevitabilmente alla semplificazione e al grottesco.
La memoria nell’arte, conferenza alla Biblioteca civica di Villa Valle, Valdagno, dicembre 1993
[…] Qualche decennio fa, quando venivano ancora difesi i valori della memoria, il linguaggio artistico conservava una complessità espressiva e generava dunque una ampia diversità nella creazione.
Marcel Duchamp sbeffeggiava il Museo, cioè il luogo per eccellenza della memoria dell’arte, introducendovi un pisciatoio che diventava esso stesso virtualmente arte. Se però riflettiamo, il gesto di Duchamp si reggeva comunque sulla memoria dell’arte e comunque aveva bisogno del museo per sacralizzare il suo gesto provocatorio. Ma la provocazione agisce solo in negativo – nel senso che toglie –; se presuppone la memoria, nello stesso momento la cancella, l’azzera; non è un gesto propositivo ma parassitario e questo gesto rimane gesto irripetibile non coniugabile e senza avvenire. Al contrario Kandinsky, se da un lato rimette in questione l’iconografia celebrativa della pittura, dall’altro riporta la pratica pittorica ai suoi specifici strumenti – spazio, forma e colore – aprendo la lunga strada della pittura astratta, aiutandoci anche a rileggere la pittura antica per le sue intrinseche qualità formali. Kandinsky ha in questa maniera operato un importante recupero della memoria. […]
[…] Quel che è certo è che l’arte viaggia sempre con il suo bagaglio, il bagaglio della memoria estetica del mondo; la memoria s’impone come lo strumento indispensabile all’articolazione di un linguaggio artistico. Gli fornisce i mezzi necessari all’espressione, quindi alla comunicazione.
Si è fatta ancora più rara, in 25 anni di pittura a Trissino, catalogo della mostra, Scuola Media Statale A. Fogazzaro, Trissino, 1994
[…] Il grande patrimonio della cultura pittorica è pesantemente minacciato dalla critica, dal mercato, dalla televisione. L’invasione inesorabile della banalità rischia di renderci presto incapaci di vedere e di intendere, così la pittura finirà come un prodotto ingurgitato da consumatori di surrogati vari. Alla qualità e alla complessità saranno preferite cose più facilmente producibili, omologabili, digeribili. Abbassando il livello linguistico della pittura la si riduce a merce e si elimina l’inquietudine che inevitabilmente l’arte trattiene nelle sue trame.
[Tancredi aggiunge:] “Mi interessa fare dell’arte facendo della pittura, ma non m’interessa fare dell’arte senza fare della pittura, perché amo dipingere”. Il principio di amare per avere piacere di fare dà senso al lavoro ma presuppone una cultura che permetta confronti e quindi “differenze”. La rarità si estrae appunto per differenza all’interno di un’esperienza molteplice e complessa. Produrre “senso” può finalmente dare un senso ai nostri giorni. D’altro canto risulta evidente che per praticare con tranquillità le barbarie bisogna averne il gusto e l’appetito adatti; forse per qualcuno di noi non è ancora abbastanza tardi.
Il colore della chimera, catalogo delle mostre, Lorenzelli Arte, Studio d’Arte Zanolettti, Milano 1995
[…] La pittura è il risultato non solo della riflessione sul reale visivo, ma soprattutto della messa in evidenza del sotteso, dell’invisibile, che attraverso le immagini, l’artista rende visibile (Klee). La pittura si costituisce così come un epifenomeno sufficientemente complesso e qualificato tale da poter sostituire il reale visivo.
Se il rapporto della critica con la pittura cerca in qualche modo di razionalizzare questo processo, o quanto meno di disegnare il territorio dove il fare pittorico si definisce, la poesia come la pittura, non vuole spiegare nulla, essendo anch’essa un’espressione essenzialmente sensoriale e intuitiva. La differenza sta solo nell’impiego del materiale linguistico. Ambedue attingono all’immaginario e producono immagini e senso, pur nella diversa espressione formale: la pittura si serve di segni e colori, la poesia di parole e assonanze. […]
In ricordo di Piero Dorazio, testo scritto per Ciao Piero, omaggio a Piero Dorazio sul sito web dello Studio Angeletti di Roma, estate 2005
Memore pulsa sentimento/cromatico corale canto/
a pieni polmoni/“città” di mille e uno colori/non vuole scendere/
ma s’alza e ruota
arcobaleno/veloce diagonale
frammentato/ritmato luminoso nell’aere